Un angelo alla mia tavola (1990)

Un angelo alla mia tavola (locandina del film)
Quando

di J. Campion

Il film è ispirato alla biografia della scrittrice neozelandese Janet Frame. Realisticamente crudo, riesce a dare in modo delicato ma impietoso, uno spaccato delle difficoltà della vita di una ragazzina con pochi mezzi economici in un'epoca in cui comincia ad affermarsi la classe borghese. Janet fin da bambina risulta introversa, più dedita alla lettura e allo studio che alle relazioni umane, si trova, giovanissima, ad affrontare la perdita della sorella maggiore con la quale aveva un rapporto privilegiato. Janet decide di sacrificare il sogno di diventare poetessa per diventare insegnante ma si blocca e fugge proprio al momento di conseguire l'abilitazione. Questo senso di sconfitta unito al dolore per la perdita della sorella contribuiscono ad aumentare la sua necessità di isolamento. La vediamo impegnata in lavori umili e precari per continuare gli studi di psicologia. Il suo docente, accortosi di un blando tentativo di suicidio, le suggerisce un ricovero per riposarsi e riprendersi. Da questo momento Janet entra nella spirale della psichiatria segregativa di quegli anni. Dolorose e brutali le immagini della clinica privata, di fatto un "manicomio", che si propone come luogo di reclusione e di alienazione dei degenti dal resto del mondo, perpetrando in questo modo il doloroso ripetersi e amplificarsi di atteggiamenti disfunzionali e disumanizzati da parte dei pazienti. Il film mostra molto chiaramente come all'epoca fosse molto semplice accedere a questo sistema e praticamente uscirne indenni data l'invasività degli interventi. In otto anni Janet ha subito più di duecento trattamenti elettroconvulsivi (elettroshock) e sarebbe una candidata alla nuova procedura chirurgica di lobotomia, cui la madre, una donna semplice senza grandi strumenti culturali, ha dato il consenso nella speranza di fare stare meglio la figlia. Janet si salva dall'oblio solamente perché la pubblicazione del suo libro pone un serio dubbio sulla compromissione delle sue capacità di ragionamento e quindi i medici decidono di non procedere. La stessa diagnosi di schizofrenia, che per la medicina di allora annoverava sintomi di demenza e di irreversibilità risulta inadeguata rispetto alla sintomatologia di Janet e lei ne riceve conferma da uno psicoterapeuta londinese che interpella in un momento di difficoltà.

Janet si dimostra una persona molto forte e determinata, continuando, nonostante le cure, a coltivare la sua passione per la scrittura, arrivando a pubblicare diversi libri e vivere una vita defilata ma soddisfacente sostenuta dalla sua famiglia. Il primo ad incoraggiarla è stato il padre che le ha regalato un prezioso quaderno su cui scrivere poesie. Quindi la sorella minore ed il cognato la aiutano a pubblicare il primo libro ed in seguito alla sua dimissione, la mettono in contatto con uno scrittore che la aiuta a riprendere a strutturare il suo lavoro. Questo incontro le aprirà le porte del mondo. Janet lo affronterà con coraggio e tenacia dimostrandosi sì timida ma anche curiosa di esplorarlo e di esplorare anche nuove relazioni umane.